La moralità immaginativa non consiste essenzialmente nel mio giudicare se i dèmoni che scorgo sono buoni o cattivi […] piuttosto nel riconoscere le immagini religiosamente come presenze che esprimono delle richieste […] Dall’esterno l’apparire dei dèmoni sembra produrre un relativismo etico: un paradiso di seduzioni e di avventure. Ma questa fantasia di relativismo etico tradisce una coscienza che non è ancora entro il mondo immaginale […] sono esse la fonte vincolante della moralità […] E’ quando perdiamo le immagini che diventiamo moralisti come se la moralità contenuta nelle immagini diventasse una colpa dissociata che fluttua liberamente, una coscienza senza volto […] La moralità psicologica che deriva dall’immaginale non è più una “nuova etica” dell’integrazione dell’ombra per mezzo di quello stesso vecchio io kantiano e delle sue lotte eroiche con astratti dualismi. L’io non è più il luogo in cui risiede la moralità, secondo una posizione filosofica che ha strappato la moralità all’immaginazione, in tal modo demonizzandola. Il nostro precettore, il nostro spiritus rector, è invece il dèmone (Le storie che curano).